IN SCENA LA TOSCA, PER LA DESSI’ E’ TRIONFO

Al via il 61° Festival Puccini di Torre del Lago tra polemiche e defezioni.

Il pubblico applaude gli interpreti, gelo sulla regia e sulla scenografia di Paladino

di Elena Percivaldi

Le carte per il successo c’erano tutte. Uno dei titoli più popolari di Puccini apriva il Festival di Torre del Lago con due superstar della lirica come Daniela Dessì Fabio Armiliato nei ruoli dei protagonisti e le scenografie di un artista notissimo e apprezzato come Mimmo Paladino a far da padrone sul palco. Ma ci si sono messe le polemiche. Dapprima hanno accompagnato la nomina a presidente del Festival Pucciniano, il primo luglio, di Alberto Veronesi con conseguente revoca dell’incarico al vecchio presidente Adalgisa Mazza e azzeramento dei Cda e Cdi.  Poi sono esplose virulente a seguito della richiesta agli artisti, da parte della nuova presidenza,  di ridursi il cachet già stabilito anche del 50 per cento. E poi nei caldissimi giorni precedenti l’avvio (giovedì 22) è arrivato il cambio della regista Vivien Hewitt dopo ben dodici giorni di prove,  sostituita non si è ben capito perché da Giorgio Ferrara, con relativo codazzo giudiziario e accordo in extremis su nuove produzioni da realizzare. Infine, la sorpresa (per molti giunta addirittura a rappresentazione iniziata: il nome non era nemmeno sul cartellone!) del forfait di Armiliato, sostituito al volo, il giorno stesso,  da  Aquiles Machado che i retroscena dicono esser giunto di corsa da Tel Aviv e buttato in scena senza nemmeno aver avuto  il tempo di provare.

Insomma, più accidentata di così, la “Tosca” che apriva la 61ma edizione del Festival non poteva essere. E se pure c’è stato un gran successo di pubblico (anche se non si è registrato il tutto esaurito), lo spettacolo che è andato in scena tra alti e bassi,  nel complesso non ha del tutto convinto se non addirittura ha deluso.

Cominciamo dalla parte musicale. Valerio Galli, viareggino, si sente che Puccini ce l’ha nel sangue. La sua bacchetta è fluida e corretta, altrove ha regalato interpretazioni egregie ma in questa occasione l’aria – vuoi per le polemiche, vuoi per le oggettive difficoltà con Machado con cui non ha provato – era strana e anche lui ne ha un po’ risentito. Il primo atto ha registrato qua e là tempi un pochetto mosci e colori troppo uniformi. I finali invece sono stati, tutti e tre, veramente incisivi.  Ma sicuramente nelle prossime recite darà di più.

Daniela Dessì ha condotto come al solito in maniera eccezionale, da veterana del ruolo del titolo, lo spettacolo confermandosi ancora una volta una gran gioia per gli occhi e per le orecchie. La presenza scenica è sempre superba, di Tosca dimostra di possedere ogni piccola sfumatura che rende recitando ma anche con grande generosità di voce sempre piena, rotonda, sicura. Il pubblico, che l’ha accolta con un’ovazione ha poi applaudito a lungo il suo sentitissimo e commovente “Vissi d’arte”, chiedendo a gran voce il bis subito concesso. Una performance di classe adamantina per una gran signora della lirica, e il trionfo è assolutamente meritato.

Non altrettanto si può dire di Aquiles Machado, cui però occorre riconoscere tutte le attenuanti dell’arrivo in corsa da lontano e della quasi assenza di prove. La voce è parsa poco squillante e giù di tono, probabilmente per la stanchezza e lo stress accumulato. Buona nei centri, è sempre stata  invece in notevole difficoltà sugli acuti e nel primo atto ha denunciato qualche problema di controllo. Ha comunque carburato col tempo e da un inizio decisamente in sordina (“Recondita armonia” stiracchiata e flebile) ha preso via via coraggio fino al finale in crescendo, risultando comunque nel complesso un Mario Cavaradossi poco più che sufficiente.  Da riascoltare.

Alberto Mastromarino ha tratteggiato uno Scarpia cattivo ma non troppo, con un timbro però forse un po’ appannato rispetto al solito e il volume un po’ meno corposo. Non lo ha aiutato la regia del secondo atto, decisamente statica e deprimente con lui che avrà mosso si e no dieci passi restando per il resto inchiodato dietro alla scrivania.

Sufficienti il Sacrestano di Angelo Nardinocchi, lo Sciarrone di Velthur Tognoni, buoni lo Spoletta di Ugo Tarquini  e il Carceriere di Pedro Carillobuono,  così così l’Angelotti di Luigi Roni, interessante il Pastorello di Marco Rimicci che cammina tra il pubblico. Menzione anche per il coro e le voci bianche. Alla fine applausi per tutti gli interpreti, con ovazioni per la Dessì e Galli.

Gelo iniziale e poi qualche fischio e buu, invece, per la parte di scenografia e regia che, in effetti, ha lasciato molto perplessi. Per la regia si registra qualche incongruenza (il ventaglio della Attavanti menzionato da Scarpia ma che compare in ritardo), ma soprattutto tanta (troppa!) staticità (il già menzionato Scarpia inchiodato alla scrivania per tutto il secondo atto, il coro che si muove al rallentatore  e poi se ne sta fisso con effetto surreale, ecc.). Per la scenografia, invece… Mimmo Paladino, artista che peraltro di solito apprezziamo, ha voluto raccontare l’opera (lo ha spiegato in un’intervista)  «visivamente attraverso oggetti simbolo». Quindi, via la chiesa di Sant’Andrea della Valle, sostituita da un portale al centro della scena fatto di marmo e cemento, simil chiesa anni Settanta tanto orribile, come i modelli che richiama, da invocare la ruspa. Via l’altare della Madonna, al suo posto una semplice forma geometrica e un quadro vuoto («perché lo spirituale – dice –  non può avere forma figurativa, non si può catturare in un’immagine e non lo si può rappresentare»: e tutta l’arte sacra occidentale dove la mettiamo, Maestro?). Via il barocco Palazzo Farnese, sorge invece una  questura post-contemporanea fatta di muri a striature bianche e rosse, alle pareti le foto segnaletiche delle vittime di Scarpia, manco fossimo a Guantanamo. Via la statua di San Michele Arcangelo, al suo posto un  meteorite che cadendo ha trascinato con sé le stelle evocate dal Cavaradossi, che si illuminano sinistramente effetto albero di Natale mentre il tenore le canta.  Finale col suddetto meteorite che si spalanca e Tosca che si lancia da lì nel vuoto (?). Via tutto. Ok. Ma perché? E per dire che cosa? Sinceramente non si è capito. Per noi una scenografia fredda come il ghiaccio (e meno male che è Tosca, sinonimo di passione), paurosamente inutile, ma soprattutto (stiamo parlando di Puccini, e siamo in Italia, che diamine!) esteticamente brutta. In un’occasione così, davvero un peccato.

Elena Percivaldi (Milano, 3 maggio 1973) è una storica, saggista e scrittrice italiana, giornalista, critica d’arte e musicale.
Laureata in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano con una tesi sulla storia medievale, all’attività di saggista e pubblicista affianca quella di relatrice e docente in conferenze e convegni.
A livello nazionale ed internazionale è accreditata come un’esperta di Cultura Antica e Medioevale.
Sito web: http://percevalarcheostoria.jimdo.com/

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