LA DIRINDINA

DI DOMENICO SCARLATTI E DI GIOVANNI BATTISTA MARTINI

Tullia Pedersoli, Carlo Torriani, Filippo Pina Castiglioni, Camilla Antonini Paola Quagliata. Enrico Barbagli (cembalo), I Solisti Ambrosiani, Davide Belosio.

1 cd BONGIOVANNI GB 2482-2

Interpretazione:****

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Consuetudine fin dalla nascita del teatro fu il bersagliare i costui di certi attori o di determinati atteggiamenti del mondo che ruotava attorno a tale professione: di certo, l’ambiente musicale non ne fu esente tanto che, nel 1720, fu pubblicato a Venezia, mantenendo l’anonimato dell’autore, «Il teatro alla moda», satira pungente, fin caustica, vivace sulle convenienze dell’opera lirica. Fu Benedetto Marcello, musicista “dilettante” veneto, l’autore del libello che stigmatizzava gli atteggiamenti di quegli artisti che, beniamini del pubblico, superavano i limiti del divismo per giungere a vere e proprie angherie nei confronti d’impresari, musicisti, librettisti.

Di fatto, la vita musica settecentesca italiana, tra prime donne e primi uomini evirati, fu anche un racconto rocambolesco dove operavano divi e divette, capricci, smorfiette, esigenze pressoché assurde, mirabilmente riassunte, con il principiare del secolo successivo, da Filippo Pananti che, nel 1808 diede alle stampe quel delizioso poema satirico, ispirato allo humor inglese dello Sterne, che è «Il poeta di teatro», frutto delle sue personali esperienze di librettista.

Così i musicisti stessi ed i loro librettisti, tra il XVIII ed il XIX secolo ci lasciarono deliziose satire sull’opera composte da chi viveva della materia stessa: bastino qui gli esempi di «Prima la musica, poi le parole» di Casti e Salieri, «Le convenienze teatrali» di Sografi dalle quali attinse Donizetti per il suo mirabile «Le convenienze ed inconvenienze teatrali» oppure «La prova di un’opera seria» di Gnecco su libretto dell’autore stesso, tratto dal precedente dell’Artusi, «La prova dell’opera Gli Orazi e i Curiazi».

Qui, prime e seconde donne, musici non sempre artisticamente dotati, mariti intriganti, poeti spiantati, impresari bistrattati (si pensi al solo «L’impresario in angustie» di Cimarosa), madri impiccione popolano il sottobosco del mondo del teatro che si presenta quale era nella realtà.

Tra le tante satire bonarie sul teatro d’opera si annovera un delizioso intermezzo in due parti di Girolamo Gigli, «La Dirindina» (il nome della protagonista, la primadonna) che ebbe certa fortuna nel Settecento tanto da essere musicato più volte e, tra queste, la prima nel 1715 da Domenico Scarlatti e, nel 1737, da Giovanni Battista Martini, in altre parole due compositori che, per diversi motivi, sono da considerarsi tra i musicisti meglio rappresentativi della musica strumentale italiana del XVIII secolo.

Brevissima e piena di brio come era regola per l’intermezzo, «La Dirindina» nacque con tale funzione a Roma, nel 1715, con parte integrante della serata nella quale Domenico Scarlatti debuttava al Teatro Capranica con l’opera seria «Ambleto» su libretto dello Zeno. In realtà, i due intermezzi non furono eseguiti per l’occasione, sostituiti dagli «Intermezzi pastorali», forse perché l’argomento della farsetta, che mette in scena le gelosie di un anziano maestro di musica per la sua allieva, da lui creduta innamorata e sedotta da un castrato, sarebbe risultato sconveniente per le scene romane, ed avrebbe potuto sollecitare un intervento diretto della censura. L’operina andò in scena, così, a Lucca, in quello stesso anno, conseguendo un buon successo.

Critica bonaria ed affettuosa del mondo dell’opera, questo lavoro è stato definito da Ralph Kirkpatric, massimo studioso dello Scarlatti, «un delizioso pendant del Teatro alla Moda di Benedetto Marcello».

Nella proposta del presente cd si è scelto di accostare le due versioni di Scarlatti e di Padre Martini, la prima più sobria, la seconda più articolata dal punto di vista musicale, entrambe eseguite dall’Orchestra da camera I Solisti Ambrosiani, guidati dal violinista Davide Belosio, mentre differenti sono gli interpreti.

L’orchestra si propone duttile, trasparente, vivace, briosa ed elegante, così come gli stessi interpreti vocali, partendo dalla Dirindina di Tullia Pedersoli (versione di Scarlatti) che accenta con proprietà ed eleganza il fraseggio cui fa da perfetto contraltare la verve di Camilla Antonini, per seguire con le voci di Carlo Torriani (che firma anche le belle note di copertina con il consueto pseudonimo Carlo Curami), perfetto nel ruolo di Don Carissimo (in Scarlatti) e di Filippo Pina Castiglioni quale vanesio Liscione (Scarlatti) e superbo Carissimo (Martini), per terminare con l’eccellente interpretazione che propone del ruolo di Liscione Paola Quagliata.

Menzione a parte merita Enrico Barbagli al cembalo che affronta i recitativi ed il basso continuo delle parti con fantasiosa personalità.

Bruno Belli.

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